Il 20 luglio, sarò come tutti gli anni a Genova, alle iniziative in ricordo di Carlo e dei tanti, tantissimi che subirono la violenza istituzionale.
In questi anni stiamo assistendo alla legalizzazione della violenza da parte dei corpi dello Stato, con il Decreto Sicurezza aumenta lo spazio d’impunità delle forze dell’ordine e si restringono gli spazi democratici nei quali esprimere il proprio pensiero. Il semplice dissentire ti colloca già in odore di sospetto. Salvare delle vite umane ti trasforma in un pericolo per la collettività da sorvegliare e denunciare; manifestare di fronte alle fabbriche d’armi comporta essere arrestata, fatta spogliare e sottoposta a perquisizione corporale. Fare del bene, difendere la vita contro la morte, oggi diventa sempre più pericoloso.
Dal locale al globale il dio profitto guida la mano e la mente di uomini potenti, indifferenti al destino dei propri simili: dalle guerre africane dimenticate, al conflitto in Ucraina, all’occupazione in Cisgiordania fino al genocidio a Gaza dove l’acqua, che a Genova avevamo dichiarato “bene comune”, oggi è negata e trasformata in strumento di morte. Aumentano le spese militari, mentre il taglio dei fondi alla cooperazione e la distruzione dei sistemi di welfare provocano milioni di morti nel sud del mondo e nei nostri stessi Paesi.
Le istituzioni e le convenzioni internazionali sorte dalla sconfitta del nazifascismo sono ridotte in polvere, mentre le ideologie allora sconfitte guidano le azioni di un numero sempre maggiore di governanti e di aspiranti tali.
Allora avevamo ragione. Ma questo oggi non basta.
Allora in tanti fingevano di non capire, ci chiamavano “No Global” eppure eravamo gli unici ad aver a cuore il destino dell’umanità, di tutta l’umanità. Loro già allora costruivano bombe, noi ponti sui quali incontrarsi. ”Quel movimento” – scrive oggi Lorenzo Guadagnucci* su il Manifesto nell’articolo «Per il G8 di Genova una nuova memoria» ”indicava la via della giustizia sociale e della giustizia climatica, la strada maestra del dialogo e della cooperazione su scala globale.”
Non c’è nessuno che possa salvarci, solo noi possiamo farlo, insieme, continuando a costruire ponti sui quali incontrarci. Mettendo insieme le nostre energie, offrendo una speranza ai tanti che ogni giorno si rinchiudono nell’isolamento, paralizzati dalla paura del futuro. Noi siamo la loro e nostra unica speranza. Non vendiamo sogni, non presentiamo una serie di spot per vendere mercanzie a buon mercato.
Noi abbiamo un’idea complessiva di un altro mondo possibile, un progetto frutto dell’elaborazione di ciò che è partito oltre vent’anni fa dal Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre, ha attraversato le strade di tutti i continenti e ha prodotto una quantità infinita di esperienze positive e costruttive. Dobbiamo prima di tutto trovare coraggio e fiducia dentro di noi, credere che questa corsa verso il precipizio si possa fermare e che un altro mondo si possa costruire. Anche perché non ci sono alternative.
Scrive Lorenzo Guadagnucci “nel fallimento delle attuali classi dirigenti, l’unica via di salvezza dal disastro incombente, è da cercare in basso, fra chi vive, pensa, opera per il cambiamento. Un cambiamento che dev’essere profondo, rivoluzionario, come insegnavano gli antifascisti di un tempo, come sognavano – e ancora sognano e praticano – i movimenti emersi a cavallo del millennio.
È il momento di ricucire una “nuova memoria” e di mettere nuove energie morali e storiche nel processo di cambiamento: un cambiamento che dev’essere radicale, o non sarà.”
*(Lorenzo Guadagnucci, di professione giornalista, è stato uno delle vittime della notte messicana alla Diaz al G8 di Genova ed è coautore con il sottoscritto del libro “L’eclisse della democrazia. Le verità nascoste sul G8 2001 a Genova”, ed. Feltrinelli, 2011.)





