Quando il sociale conquista il podio

Seconda puntata del reportage di Vittorio Agnoletto dal Festival di Locarno. Leggi la prima puntata.

http://www.pressenza.com/it/2013/08/quando-il-sociale-conquista-il-podio/

Il premio alla carriera, Pardo d’onore, è stato attribuito a Werner Herzog del quale sono stati proiettati diversi film che ne hanno segnato l’evoluzione artistica; una citazione particolare meritano i quattro episodi, di cinquanta minuti ciascuno, di “Death Row II” , “Braccio della morte 2”, presentati in prima mondiale a Locarno nei quali, attraverso un’intervista ai diretti interessati e ai principali protagonisti di ogni singolo racconto, viene ricostruita la storia di un condannato a morte. Lo stile è asciutto, evita ogni sensazionalismo, ogni atteggiamento polemico e si colloca agli antipodi dei tanti talk show urlati che in Italia affrontano episodi di cronaca giudiziaria, il più delle volta trasformandoli in telenovela, con il pubblico nei panni di un’improbabile giuria popolare. Herzog nulla concede allo spettacolo, né ad alcuna tifoseria di parte: i fatti sono presentati nella loro essenza ed eventualmente nelle loro differenti e contrastanti ricostruzioni. Gli investigatori sono invitati a spiegare i motivi delle proprie scelte ed i condannati ad esporre le loro ragioni, da tali testimonianza ogni spettatore si potrà formare una propria opinione. Nonostante lo stile distaccato e neutro del racconto, anzi forse proprio per questo, non c’è dubbio che i quattro cortometraggi riescano a suscitare punti di domanda, perplessità e comunque un dibattito sulla pena di morte in grado di coinvolgere ampie fasce dell’opinione pubblica come per altro già avvenuto negli USA con altri simili prodotti televisivi.

In “E Agora? Lembra Me -What now? Remind me” Joaquim Pinto, regista e sceneggiatore portoghese, racconta se stesso; parla della vita di chi convive da oltre vent’anni con il virus dell’HIV e dell’epatite C, di chi sperimenta terapie non ancora approvate in studi clinici definitivi, di chi ha un tale attaccamento alla vita da riuscire a trarre una ragione per la propria esistenza dall’osservazione attenta e meticolosa degli esseri più piccoli e indifesi della natura, animale e vegetale. Un film sofferto e sofferente, dove si misura la fatica dell’esistenza quotidiana nella difficoltà nel compiere atti che fino a poco prima sembravano naturali, automatici e non necessitanti di alcuna attenzione e sforzo; ma in quasi tre ore di proiezione mai la tragedia senza sbocco, la rassegnazione senza speranza prendono il soppravvento. Se la quotidianità delle piccole cose segna il susseguirsi del tempo e restituisce senso all’esistenza, questa non si estranea mai dalla realtà circostante che continua ad irrompere e ad interrogare la vita di Pinto. E’ il punto di osservazione che è differente, non solo, l’occhio che osserva non è un semplice organo di senso, ma racchiude in sé la complessità di un corpo e di uno spirito fortemente provati ma anche profondamente consapevoli di se stessi, del proprio passato e del proprio presente.

Non c’è traccia di autocommiserazione, né di rancore contro il mondo, ma una pacata dimostrazione di come possa essere profonda una relazione d’amicizia e d’amore, consumata in una vicinanza discreta e premurosa; di come sia possibile mantenere una propria piena dignità umana anche di fronte al disfacimento del proprio corpo e allo svanire del proprio futuro.

Short Term 12” di Destin Cretton (Stati Uniti) è ambientato in una comunità per minori in difficoltà ove lavora Grace, interpretata da Brie Larson, una giovane educatrice che a sua volta ha subito violenze e soprusi dal padre. I profili dei ragazzi ospiti del centro sono tracciati con grande attenzione alle sfumature psicologiche e comportamentali dalle quali è possibile cogliere il segno delle storie passate, senza cascare in alcuna banalità. L’imminente uscita dal carcere del padre obbliga Grace ad un difficile lavoro d’introspezione che si realizza in continua dialettica e confronto con le storie dei vari ospiti della comunità; una dialettica dove non è sempre semplice separare il presente dal passato.

La serena conclusione, tipica di un certo cinema nordamericano, riecheggia il “…e tutti vissero felici e contenti ..“ delle favole di un tempo andato, e rappresenta il punto più debole di un film che merita comunque di essere visto per la capacità di descrivere con attenzione le varie sfumature di un disagio giovanile che certamente non riguarda solo la realtà statunitense.

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