A Boston, al termine della maratona, sono esplose alcune bombe. Tre morti, tra cui un bambino, e tanti feriti. Alcuni anche gravi. Molte TV italiane, giustamente, l’altra sera hanno fatto una lunga diretta, e la notizia ha molto spazio sui mass media anche ieri e oggi, con fotografie, testimonianze, indagini, ecc..

La sera di lunedì 15 avevo da poco sentito l’amico Louis Sako, Patriarca Caldeo a Baghdad. C’erano state molte esplosioni in diverse città dell’Iraq, almeno 37 morti e centinaia di feriti. E mi colpiva vedere scorrere, durante la diretta da Boston, verso mezzanotte, il titolo piccolo che ricordava anche in morti in Iraq. Da quanto tempo non abbiamo una diretta da Baghdad? Forse perché è pericoloso? O forse perché ormai si sa, là, in quei Paesi… si continua a morire e ormai ci abbiamo fatto l’abitudine? Le bombe e i morti non fanno più notizia? La stessa cosa si potrebbe dire per molti altri Paesi dove scoppiano bombe e muoiono persone, dall’Afghanistan (solo qualche giorno fa bombardamenti con vittime anche bambini…), alla Siria, (dove hanno fatto notizia i giornalisti rapiti, non tanto i morti che continuano ad esserci ogni giorno…) e l’elenco potrebbe essere molto più lungo.
Certo: è importante indignarsi per quelle bombe a Boston! Al termine di una manifestazione sportiva! Si pensa al terrorismo. Tutto giusto e doveroso!
Certo, ogni vita umana stroncata merita attenzione, riflessione e che tutto si fermi, anche con una diretta TV.
La domanda è: come mai per altre bombe e altre vittime non si riesce a fare una diretta TV? Forse perché sul posto non ci sono i giornalisti, direbbe qualcuno.
La conseguenza è che, me lo ricordava già 30 anni fa un amico giornalista: esiste la notizia non il fatto. E se non c’è la notizia non c’è neanche il fatto. Forse è il caso di essere vigilanti, perché il rischio reale è che in questo modo di fare informazione, molti morti vengono classificati di serie ‘B’ o, addirittura, non esistano. Diciamo di saperlo, ma ce lo dimentichiamo facilmente.

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