(articolo di Vittorio Agnoletto pubblicato su  “il manifesto” del 15 marzo)

Qualunque tentativo di addebitare la sconfitta storica della sinistra ad altrui “cattiverie”, quali un sistema mediatico che discrimina, è risibile ed evidenzia solo un tentativo di celare le proprie responsabilità. Non è sufficiente dire “non siamo stati capaci di intercettare la crescita del malessere sociale che ha quindi trovato un riferimento nel M5S”. La questione è più complessa.

UN INCONTRO MANCATO, A SINISTRA

All’inizio di questo millennio si è sviluppato il movimento altermondialista, raggiungendo un’ampiezza che non aveva paragoni nella storia recente. Questo movimento non solo ha posto in discussione l’attuale sistema  mondiale fondato sul dominio incontrastato dei mercati e del profitto, ma ha  proposto alternative, ha alfabetizzato la nostra società sui rischi della globalizzazione, ha elaborato e diffuso nuove categorie di pensiero, quali ad esempio i “beni comuni”, ben presto diventate familiari a gran parte della popolazione. Questo movimento – entrato in conflitto con tutte le principali famiglie politiche presenti in Europa, ormai interne al pensiero unico liberista – ha avuto uno dei suoi punti di forza proprio in Italia.

Ma due elementi, in particolare, ne hanno bloccato lo sviluppo:

  1. una feroce repressione che ha obbligato il movimento a modificare le proprie priorità (concentrandosi sulla richiesta di verità e giustizia per i fatti di Genova)  e che ha rotto quella formidabile unità d’intenti che teneva insieme realtà fra loro estremamente differenti;
  2. l’assenza di una sponda politica in grado di trasferire anche sul terreno istituzionale la radicalità delle lotte.

Rifondazione inizialmente sembrò comprendere le potenzialità e anche le innovazioni culturali delle quali il movimento era portatore e ne divenne il principale interlocutore, ma al momento opportuno non se la sentì di compiere il salto decisivo, di porre la propria storia al servizio di un progetto antiliberista più ampio e più meticcio.

Contemporaneamente anche nella leadership diffusa del movimento prevalse il ritorno alle più rassicuranti identità di provenienza anziché tentare di buttare il cuore oltre l’ostacolo, verso la costruzione di un nuovo spazio politico comune, come invece avvenne ad esempio in Grecia dove, proprio nel 2001 dopo Genova, prese il via il percorso sfociato anni dopo in Syriza. In Italia nel giro di qualche anno il movimento perse sia la capacità di realizzare immense mobilitazioni di piazza, sia la forza di avanzare proposte concrete e  di suscitare immaginari in grado di diffondere in ampie fasce di popolazione l’idea che “sì, un altro mondo è realmente possibile.”

Ciò ha coinciso con l’avanzare di una crisi sociale ed economica drammatica che ha messo in discussione la stessa sopravvivenza economica di ampi strati della popolazione. La vittoria referendaria per l’acqua pubblica e contro il nucleare affonda le radici nel movimento di Porto Alegre e di Genova; ma alla capacità di mobilitare forze ed e energie su singoli temi, per quanto fondamentali, non corrisponde più la speranza di poter realizzare  un’alternativa complessiva di sistema.

Ma l’onda lunga dei messaggi culturali elaborati dal movimento dei movimenti ha continuato a scavare, seppure con modalità carsiche, nel sentire di un’ampia fascia di popolazione.

 

L’AMBIVALENZA DELLA PROPOSTA GRILLINA

Grillo ha saputo offrire uno sbocco politico a gran parte di quelle istanze ma contemporaneamente le ha inglobate in una progetto che non risultasse immediatamente antagonista all’attuale sistema globale. Il M5S, infatti, raccoglie nel suo programma diverse proposte emerse dai movimenti antiliberisti, ma l’avversario principale diventa la “casta” e vengono lasciati sullo sfondo i conflitti collettivi che rimandano ad una più precisa collocazione nella scala sociale. Mentre ad esempio la difesa della scuola e della sanità pubblica e l’appoggio al movimento NO TAV, sono parte integrante della prospettiva grillina,  la questione sociale, i diritti dei lavoratori, la critica sistemica al sistema liberista risultano assenti od offuscate.

Nel M5S l’assenza di un progetto alternativo di società è sostituito da un imperativo etico che ha favorito l’adesione dei giovani, attenti al “qui ed ora”, ma totalmente sfiduciati sulla possibilità di modificare l’insieme del sistema. L’assenza di un’appartenenza ideologica ha facilitato anche l’adesione da parte di tanti che negli anni passati avevano sofferto la distanza tra la multiculturalità dei movimenti e le rigidità ideologiche delle organizzazioni della sinistra.

Molti attivisti dei movimenti sono stati tra i primi ad avvicinarsi al M5S e a cimentarsi con la rappresentanza elettorale; ne consegue, considerata la trasversalità dell’elettorato grillino, che un ampio numero di voti provenienti dal centrodestra e della Lega hanno contribuito ad eleggere parlamentari principalmente orientati a sinistra.

L’apertura a molti dei contenuti  propri dei movimenti convive infatti nella strategia di Grillo  con proposte che vanno in tutt’ altra direzione verso la base delusa della destra e del leghismo come sui temi dell’immigrazione e nell’attacco ai sindacati e ai dipendenti pubblici. E’ altresì evidente l’ abissale distanza tra le forme di partecipazione diretta proposte dai movimenti e una proposta politica costruita attorno ad un solo e indiscusso leader.

Ha ragione Loris Caruso (il manifesto 9/3) quando scrive: ”il movimento 5 stelle è sia di destra che di sinistra……” ; è come uno zigote, una cellula totipotente, solo che la sua linea di evoluzione dipenderà anche dall’interazione con altri soggetti. Partecipare anche da sinistra ad un indistinto e generico  attacco concentrico contro il M5S rischia di rafforzare nei militanti grillini l’idea di essere soli contro tutti, contro un indistinto sistema politico; si finirebbe così per rafforzare l’adesione fideistica al M5S rendendoli disinteressati a qualunque confronto.

LA SINISTRA CHE VERRA’

E qui entra in gioco il ruolo di una sinistra che sul piano politico è da ricostruire totalmente e non certo attraverso la sommatoria delle forze politiche travolte dalle elezioni. Si tratta di voltare totalmente pagina. Affermare che le forme di organizzazione e di costruzione dei corpi sociali intermedi che hanno caratterizzato il novecento non sono oggi riproponibili non significa cancellare l’importanza della nostra storia: grazie alle conquiste dei decenni passati intere generazioni hanno potuto condurre una vita differente rispetto a quella loro riservata dal destino.

Non rincominciamo completamente da zero: esistono innumerevoli reti di sinistra sociale attive in centinaia di lotte legate ai territori, ma questo popolo non ha trovato e non è riuscito a costruire collettivamente una proposta politica in grado di soddisfarlo.

Non c’è alcuna soluzione già confezionata, la ricerca sarà lunga e dovremo esplorare terreni per noi sconosciuti. Mi limito a suggerire alcune delle domande con le quali sarà necessario cimentarsi: come superare l’atomizzazione individuale e costruire nuove forme di aggregazione collettiva che, pur non coincidendo più unicamente con la condizione lavorativa, mantengano precisi riferimenti sociali; come elaborare un’idea complessiva di una società diversa senza che un singolo soggetto (collettivo o singolo) pretenda di esserne il depositario; come possiamo aiutare la nascita di immaginari in grado di suscitare entusiasmi verso l’ οὐ τόπος, il luogo che ancora non c’è ma che è possibile concretamente  raggiungere. Aspetto fondamentale di fronte alla grave crisi economica.

La confusione sotto il cielo è grande, non so se la situazione sia veramente eccellente; ma ogni azzeramento offre l’opportunità per ripartire, a condizione di essere consapevoli delle ragioni della sconfitta.

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