Forse diminuisce lo spread tra i titoli tedeschi e quelli italiani ma quello che è certo è che in Italia aumenta lo spread tra i più ricchi e i più poveri, siamo il Paese dell’Europa occidentale nel quale questa forbice è aumentata maggiormente negli ultimi anni.
Ma questa verità non trova spazio nelle prime pagine dei giornali: è occultata in nome di un’ipotetica salvezza nazionale, ma se il nostro Paese continuerà su questo percorso saranno in pochi, e ben conosciuti, a trovare spazio sulla novella Arca di Noè.
Ieri, come tutti i 27 del mese, milioni di italiani hanno ricevuto la busta paga e hanno potuto verificare direttamente il risultato delle politiche del governo Monti. Una busta paga più leggera, ma che è solo l’annuncio di quello che accadrà nei mesi futuri. L’ ICI sulla prima casa è dietro l’angolo, l’aumento della benzina è ormai un’esperienza quotidiana e non bisogna essere laureati in matematica per comprendere che l’aumento delle tasse indirette, colpendo in modo eguale chi ha redditi totalmente differenti, costituisce un’enorme ingiustizia.
A chi si ostina a negare tale evidenza consiglio di rileggersi “Lettera ad una professoressa” di don Milani; ne regalerei volentieri una copia alla ministra Fornero ricordandogli anche che “L’obbedienza non è più una virtù”.
Penso infatti che nel prossimo futuro si moltiplicheranno le azioni di disobbedienza civile,
Monti sta all’Italia come Marchionne sta alla Fiat.
Anche questo non è difficile da capire, può essere anche tradotto in modo semplice: voi mi date i soldi – lo Stato alla Fiat, i cittadini al governo – ed io ne faccio quello che voglio, li esporto negli USA piuttosto che in Brasile, li ridistribuisco ai miei amici banchieri e speculatori.
L’unica cosa che Marchionne e Monti non fanno è quelli di reinvestirli per procurare lavoro.
Nel frattempo i soliti noti moltiplicano i loro affari nella finanza speculativa: gli scambi finanziari ammontano ogni giorno a 4 trilioni di dollari, in 15 giorno raggiungono il PIL mondiale annuo, il 90% di questi scambi sono speculativi; 24 sono i principali paradisi fiscali nel mondo, un terzo dei quali è in territorio europeo ed altri sono territori oltremare della Gran Bretagna; l’isola di Jersey è un territorio off-shore nel cuore dell’Europa, ma né la BCE, né il Consiglio e la Commissione Europea hanno nulla da dire: nessuno deve disturbare gli speculatori.
Intanto in terra elvetica la banche affittano le cassette di sicurezza degli alberghi perché non hanno più spazio per ospitare gli evasori: nel giugno scorso Tremonti aveva posto il veto italiano alla timida proposta UE di rivedere gli accordi con la Svizzera sul segreto bancario.
I prezzi degli alimentari aumentano ogni giorno, ma nessuna istituzione internazionale, di quelle che pretendono di dettare l’agenda ai nostri popoli, dal FMI all’OCSE, ha nulla da dire sul controllo che un pugno di multinazionali esercita sulla borsa dei prodotti agricoli a Chicago, producendo un forte aumento dei costi sui cerali trasformati in derivati finanziari oggetto di forti manovre speculative.
La manifestazione del 31 parla anche di questo.
E vuole parlare a tutti, senza chiudere le porte a coloro che per ora non hanno ritenuto di aderirvi ufficialmente, pur sapendo che molti dei loro iscritti non vedono l’ora di mandare a casa Monti. Ed infatti la giornata del 31 marzo è la prima mobilitazione esplicitamente contro il governo “tecnico”, se si fa eccezione delle mobilitazioni sindacali.
Il dissenso verso questo governo, per quello che valgono lo testimoniano anche i sondaggi, cresce ormai ogni giorno, ma stenta a trasformarsi in opposizione consapevole e capace di costruire momenti di grande unità.
Per questo, anche se il 31 sarà forse ancora una mobilitazione soprattutto di militanti, potrà essere comunque importante. Il messaggio è chiaro: è possibile costruire insieme un’opposizione capace di unire e di essere propositiva.
Deve essere una grande manifestazione pacifica ( e sottolineo questo termine, ritenendo impossibile che qualcuno, in buona fede, non ne capisca l’importanza) capace di interloquire ad esempio con il popolo della CGIL, con un sindacato in mezzo al guado, che se per ora ha trovato la forza di rifiutare il diktat di Monti sull’articolo 18, subito dopo ha accettato la compatibilità del quadro politico, del PD, spostando a dopo le amministrative, a fine maggio lo sciopero, rischiando così di sterilizzarne a priori l’impatto.
Il 31, se ci lavoriamo bene può essere una tappa importante verso una ricomposizione sociale delle mille facce del lavoro: occupati, precari, “affittati a giorni, o a ore” e disoccupati hanno gli stessi interessi; uno dei nostri compiti è facilitare la crescita di questa consapevolezza.
Condizione indispensabile per cambiare la società.