1° dicembre 2010

Aids e donazioni di sangue, continua la discriminazione verso gli omosessuali…anche a Milano

Sono i comportamenti sessuali non protetti ad esporre le persone al rischio di infettarsi con l’Hiv; non le “categorie”, le preferenze o gli orientamenti del singolo. Lo hanno sancito da tempo l’Organizzazione mondiale della Sanità e l’Unaids, l’agenzia dell’Onu responsabile delle politiche di contrasto all’AIDS, oltre che la letteratura e la comunità scientifica globale. Ciò nonostante, gli omosessuali subiscono pesanti discriminazioni; nel recente passato il Policlinico di Milano, come ricorderete, aveva negato a un cittadino gay la possibilità di donare il sangue.

Un mio conoscente, da anni donatore abituale, indignato per la decisione dell’ospedale milanese ha chiesto qualche giorno fa ulteriori spiegazioni. Di fronte alla conferma del divieto per gli omosessuali di effettuare una donazione, lui, eterosessuale, ha deciso per protesta di interrompere le donazioni. Infatti in uno scambio di mail il referente dell’ufficio comunicazione del Policlinico, nel tentativo di negare ogni discriminazione e di presentare la propria scelta come tutela dei pazienti e in particolare di chi riceve una trasfusione, si è “nascosto” dietro una direttiva europea, la 2004/33. Peccato che proprio andando a leggere il testo di questa normativa, relativa ai requisiti tecnici del sangue e degli emocomponenti, non si trovi alcun riferimento all’orientamento sessuale dei donatori.

Nello specifico, la direttiva sancisce che non possono essere accettati come donatori «persone il cui comportamento sessuale le espone ad alto rischio di contrarre gravi malattie infettive trasmissibili col sangue». Questo non significa impedire a tutti gli omosessuali di donare il sangue.

L’Hiv, infatti, si trasmette – occorre ricordarlo – attraverso rapporti sessuali non protetti, trasfusione di sangue infetto, condivisione di aghi contaminati, allattamento e per via materno-fetale. Lo ripeto: non vi sono categorie a rischio ma comportamenti a rischio. A rischio sono i rapporti sessuali non protetti, indipendentemente dal genere dei partner: questo dovrebbe essere il criterio-guida per chiunque si occupi di donazioni di sangue. È l’uso del profilattico – per quanto riguarda le abitudini sessuali – che andrebbe messo tra i parametri di selezione. Va precisato poi che a livello nazionale dal 2001 esiste un decreto che abolisce il divieto alle donazioni per gli omosessuali.

Certo, il discorso è anche più complesso: l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha identificato dei gruppi di popolazione che potrebbero (è importante specificarlo) essere più a rischio degli altri, si tratta di chi si prostisce, dei consumatori di sostanze stupefacenti per via endovenosa, dei carcerati. E anche sugli uomini che fanno sesso con altri uomini sono stati realizzati degli studi ad hoc.

Ma la preoccupazione dell’Oms in questi “studi di settore” dipende da un fattore importante: in molti Paesi queste persone riscontrano problemi nell’accedere ai servizi sanitari dovuti alla discriminazione, alla marginalizzazione sociale e a normative sfavorevoli, che criminalizzano la prostituzione, il consumo di droghe e l’omosessualità.

Minore è la possibilità di accedere alle cure sanitarie, all’informazione corretta e alla prevenzione e più si è anche a rischio di contrarre l’Hiv. Sono quindi le legislazioni discriminatorie le migliori alleate della diffusione delle patologie infettive. Mentre due uomini omosessuali che fanno sesso proteggendosi con il preservativo sono evidentemente meno a rischio di due eterosessuali che non usano il profilattico.

L’Hiv è un dramma di cui si parla sempre meno, nonostante nel 2008: siano state infettate in tutto il mondo 2,7 milioni di persone  e più di mille, ogni giorno, siano state le nuove infezioni tra i bambini; 2 milioni di esseri umani siano morti per patologie connesse all’Aids e 33,4 milioni di persone vivano oggi con l’Hiv.

Il 67 per cento delle persone sieropositive vivono nell’ Africa subsahariana, 1,8 milioni sono bambini mentre solo il 53 per cento delle donne incinte affette da Hiv ha avuto accesso nel 2009 ai farmaci antiretrovirali per la prevenzione della trasmissione materno-fetale.

È innegabile dunque la necessità di operare in ogni modo per ridurre la diffusione dell’epidemia. Ma puntare il dito contro presunti “untori” aumenta solamente, a livello sociale, il rischio di messaggi fuorvianti, soprattutto per i più giovani.

Ogni anno, alla vigilia del 1 dicembre, Giornata mondiale per la lotta contro l’Aids, le istituzioni organizzano qualche concerto e qualche convegno; poi tutto tace, tutto si ferma. Ma non il virus, che silenziosamente prosegue nella sua missione letale.

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