Lavori in corso, Osservatorio Europa – Il 18 ottobre scorso si è aperto a Diyarbakir il processo contro oltre 150 attivisti accusati di legami con il terrorismo e sovversione ai danni dello Stato, appartenenti all’organizzazione curda Kck, una piattaforma politica che racchiude tutti i principali movimenti politici curdi e di cui fa parte anche il Pkk, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan. Le prime udienze sono state accompagnate da una manifestazione di cittadini provenienti da tutta Europa, compresi alcuni eurodeputati, giunti in Turchia per chiedere un processo equo e garanzie per gli imputati, tra i quali vi è anche Osman Baydemir, sindaco di Diyarbakir. Agli imputati è stata negata la possibilità di esprimersi in lingua curda.

Proprio in questi giorni Human Rights Watch ha pubblicato l’ultimo rapporto di denuncia contro la giustizia turca, che userebbe le leggi antiterrorismo per incarcerare i dissidenti curdi. In particolare, l’organizzazione che si occupa di diritti umani ha analizzato 50 casi di persone: 26 di queste sono state perseguite per terrorismo solo per aver partecipato ad una serie di manifestazioni di protesta che il governo ha reputato essere solidali con il Pkk. Tutto ciò nonostante le recenti prese di posizione del Partito dei lavoratori, che ha annunciato l’estensione del cessate il fuoco unilaterale – che scadeva il 31 ottobre scorso ed era stata già prorogata in precedenza – fino alle prossime elezioni generali, che si terranno nell’estate del 2011. Una tregua che fino ad ora il governo turco non ha rispettato, conducendo da agosto a fine ottobre più di 80 operazioni militari nelle zone curde.

Non sorprendono allora i continui sbarchi di giovani curdi sulle nostre coste, l’ultimo dei quali a fine ottobre nel crotonese. E sempre il 31 ottobre a Istanbul c’è stato un attentato suicida, rivendicato dal Tak (i “falchi per la libertà del Kurdistan”), un gruppo separatista curda che ha preso le distanze dal Pkk da oltre un anno. Il partito del leader Abdullah Ocalan ha commentato l’attacco dichiarando che questo tipo di azioni sono mirate ad azzerare i tentativi per giungere ad una pace con il governo e ha chiesto formalmente al Tak di desistere dall’opzione violenta. Le azioni concrete per raggiungere la pace non mancano, ma sembrano ancora una volta provenire solo da parte del popolo curdo.

Nel frattempo, il 17 e 18 novembre, si terrà al Parlamento europeo la settima conferenza su Unione europea, Turchia e Curdi, con al centro il tema del percorso verso la pace e la partecipazione, tra gli altri, di Leyla Zana. Chi volesse partecipare può inviare una mail a: brussels_conference@yahoo.com.

Proprio l’attivista curda, già premio Sacharov del Parlamento europeo per la sua battaglia a favore dei diritti del suo popolo, pochi giorni fa, intervenendo a un’iniziativa pubblica nella città turca di Batman, ha lanciato un messaggio di speranza: «La soluzione al problema curdo è vicina. Ma per ottenere il risultato che vogliamo abbiamo necessariamente bisogno di creare la pace, in un contesto di amicizia tra tutti. I popoli hanno sempre raggiunto i loro obiettivi quando hanno adottato nella lotta i propri valori e il proprio lavoro. Dobbiamo continuare a insistere sulla pace e sulla fraternità: più si insiste su questi valori e più ne otterremo».

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