La XVIII Conferenza mondiale sull’Aids si è aperta ufficialmente ieri pomeriggio, con oltre 20mila delegati da 185 paesi. Il tema portante, rassunto dallo slogan Rights here, right now (Diritti qui e adesso), è il legame tra l’obiettivo dell’Accesso universale (a prevenzione, trattamenti e cure) e i diritti umani. Nel mirino ci sono le politiche che ancora discriminano le persone sieropositive e le popolazioni vulnerabili, i tossicodipendenti, gli omosessuali (leggi omofobiche sono presenti in oltre 80 paesi, dati Unaids), i e le sex workers, le leggi che criminalizzano la trasmissione del virus e marginalizzano le persone con Hiv. La violazione dei diritti umani comporta: maggiore diffusione del virus e mancata conoscenza epidemiologica.
I dati globali raccontano di 2 milioni di morti l’anno per Aids (5.000 ogni giorno), e di 2.7 milioni di nuove infezioni ogni anno (7.400 ogni giorno, mentre sono 3.000 le persone che ogni giorno entrano in terapia). I trattamenti nei paesi in via di sviluppo raggiungono oggi, a 5 anni dalla Conferenza di Durban, 5 milioni di persone, e ciò dimostra che l’Accesso universale è un obiettivo perseguibile, ma ancora 10 milioni di persone non hanno alcun accesso alle cure. Questo anno 2010 è con ogni evidenza strategico, e sta giusto in mezzo fra la Sessione Speciale dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite – Ungass del 2001 dove gli stati membri dell’ONU hanno firmato una dichiarazione che li impegnati a combattere l’HIV/AIDS e il raggiungimento dei Millenium Goals (MDG) fissati per il 2015. Ed è adesso che si devono fare i primi bilanci e capire quali sono le barriere da rimuovere per poter garantire nel 2015 l’Accesso universale alla prevenzione e al trattamento dell’HIV.
Julio Montaner, presidente della International Aids Association e chair della Conferenza:
«Non posso nascondere sconforto e frustrazione, visto l’esito del recente G8/G20 che si è tenuto in Canada, dove non è stata assunta alcuna decisione e responsabilità sull’Accesso universale. E’ un fallimento. In molti stanno usando la scusa della crisi economica globale. Ma è solo una scusa, non ci sono stati problemi a finanziare i banchieri di Wall Street, mentre 110 miliardi di euro sono apparsi dal nulla quando è saltata l’economia della Grecia. E’ solo una questione di priorità e, cari amici, le loro priorità devono cambiare. Dove finiamo, se la cruda realtà oggi è che non siamo neppure a metà dell’obiettivo dell’Accesso universale? Molti gruppi, incluso il nostro, ha prodotto in questi anni una serie di evidenze che dimostrano che la Haart non riduce solo la mortalità, ma produce una massiccio calo delle infezioni. Una ricerca prodotta dalla Gates Foundation e pubblicata da Lancet il mese scorso mostra una riduzione del 90 per cento in Africa della trasmissione fra coppie sierodiscordanti eterosessuali. Un lavoro prodotto a Vancouver ha mostrato l’importanza della Haart nella riduzione delle infezione da Hiv tra gli assuntori di droghe per via iniettiva, e oggi su Lancet c’è uno studio simile che parla di una riduzione del 50 per cento negli ultimi tre anni in British Columbia (Canada). “Treatment is prevention”, e fino a quando non ci sarà una cura definitiva, o un vaccino, “treatment 2.0” è fra le migliori scelte che abbiamo per controllare l’epidemia.
Durante la cerimonia di apertura, nei corridoi della Messe Wien, dove si tiene la Conferenza, ha fatto irruzione la manifestazione degli attivisti di tutti i continenti, sotto lo slogan “Broken Promises Kill”. Le promesse mancate uccidono, il riferimento è a quanto promesso, e non mantenuto, dai Governi al Global Fund. Più di un migliaio di persone sono arrivate alle porte dell’enorme spazio che accoglie le Plenarie, e si sono stese a terra per mimare la morte di tutti quelli che non sono e non saranno raggiunti dalle terapie grazie ai tagli dei contributi al Global Fund, sotto enormi palloni sospesi con stampate le facce dei leader del G8. Hanno quindi fatto irruzione nella sala e portato sul palco lo striscione con scritto “No Retreat. Fund Aids”. Sul palco, Julio Montaner stava dando il benvenuto ai delegati, ha accolto lo striscione e gli attivisti spiegando chiaramente che quello slogan è anche lo slogan della Conferenza.
Michel Kazatchkine, a capo del Global Fund to Fight AIDS, Tuberculosis and Malaria, ha detto che servono più di 20 miliardi di dollari per i prossimi tre anni per sostenere i progressi. “Sono enormemente spaventato, e molto preoccupato”, ha spiegato, “per la crisi economica… per il conflitto di priorità”.
Come sempre tra i relatori della plenaria che ha aperto la conferenza ci sono anche le associazioni e gli attivisti. Quest’anno la rappresentanza delle persone sieropositive (PLHIV) è stata affidata a Sasha Volgina per la Russia e a Vladimi Zhovtyak per l’Ucraina che hanno mostrato il disastro che sta avvenendo in questa parte di Europa. Il direttore dell’Unaids, Michel Sidibé, ha parlato dopo lo strepitoso intervento di Rachel Arinii Judhistari (21 anni) della Independent Youth Alliance di Bali, per ribadire il fondamentale ruolo dei giovani: “Non siamo i leader di domani, ma i leader di oggi. Vogliamo riconoscimento e sostegno”. Dopo Sidibé, sul palco è salita l’efficace Paula Akugizibwe, della Aids and Rights Alliance del Sudafrica, con una articolata e provocatoria relazione sullo stato dell’arte della lotta globale all’Hiv e il suo (mancato) finanziamento.
La scelta di Vienna come sede della XVIII Conferenza (che torna in Europa 8 anni dopo Barcellona) è dovuta alla sua prossimità con l’Europa dell’Est e l’Asia Centrale, attuali veri focolai dell’epidemia da Hiv (in alcune parti della Federazione Russa si registra un aumento dei contagi del 700 per cento dal 2006. Nell’intera area oltre l’80 per cento delle persone sieropositive ha meno di 30 anni, l’infezione è dovuta per la stragrande parte allo scambio di siringhe fra IDU (injecting drug users), che sono circa 3.7 milioni, circa un quarto del totale mondiale. Di questi 1.8 milioni vivono in Russia, circa 300mila sono in Azerbaijan, dove la prevalenza di IDU sul totale della popolazione è la più alta al mondo, il 5.2 per cento. Seguono la Georgia (5.2 per cento) la Russia (1.8) e l’Ucraina (1.2), dati Unicef rilasciati oggi.
In Russia ed Est Europa praticamente non esistono programmi statali di riduzione del danno, soprattutto scambio di siringhe, i tossicodipendenti sono incarcerati, e ogni 100 IDU che vivono con l’Hiv, uno solo riceve la Art (terapia antiretrovirale). Uno studio illustrato da Yves Souteyrand, del Dipartimento Hiv della WHO – World Health Organization. Sempre Souteyrand ha mostrato come i programmi di riduzione del danno e l’accesso alle terapie abbiano invece ridotto la prevalenza di Hiv tra gli Idu dal 30 per cento del 2004 all’11 per cento nel 2008, in soli 4 anni!
Nei giorni precedenti la Conferenza, è stata rilasciata la Dichiarazione di Vienna (consultabile nella traduzione italiana nel sito della Lila), che chiede che le politiche di contrasto alla droga tengano conto delle evidenze scientifiche senza cedere all’ideologia e alle esigenze demagogiche della politica. Sostanzialmente, viene sancito il fallimento della “War on drugs”. Già firmata da importanti personalità e rappresentanti di governo di tutto il mondo, viene ricordata a ogni occasione dal chair della Conferenza Julio Montaner: “questa settimana, firmate la Dichiarazione, partecipate alla Human Right Rally (la marcia per i diritti umani che si terrà domani sera e si concluderà con il concerto di Annie Lennox, goodwill ambassador per l’Onu e attivista con la sua associazione Sing, ndr), e sostenete la Conferenza come l’inizio della fine dello stigma, della discriminazione, e dell’epidemia globale di Hiv/Aids”.

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