La decisione del Tar di annullare la circolare del ministro Speranza che prevedeva di limitare ad una vigilante attesa e all’uso di tachipirina, l’assistenza domiciliare ai pazienti positivi al Coronavirus è clamorosa, ma ampiamente comprensibile. Migliaia di medici hanno continuato ad assistere a domicilio i loro pazienti facendo ricorso, in base alla condizione clinica di ogni malato, ad approcci terapeutici che contemplavano anche l’uso di altri farmaci. Formalmente questi professionisti si assumevano un’enorme rischio, prescrivendo terapie non contemplate dalle indicazioni ministeriali.Il Tar con questa sentenza ha ricordato che “è onere imprescindibile di ogni sanitario di agire secondo scienza e coscienza,…La prescrizione dell’AIFA, come mutuata dal Ministero della Salute, contrasta, pertanto, con la richiesta professionalità del medico e con la sua deontologia professionale, imponendo, anzi impedendo l’utilizzo di terapie da questi ultimi eventualmente ritenute idonee ed efficaci al contrasto con la malattia COVID-19”Anche il prof. Giuseppe Remuzzi direttore dell’Istituto Mario Negri,aveva proposto un differente protocollo, ma era rimasto inascoltato. Non è la prima volta che organi del potere giudiziario smentiscono la pretesa del ministero di vincolare i medici all’uso o al non uso di un farmaco. La sentenza odierna è l’ennesima testimonianza della distanza tra i vertici delle istituzioni sanitarie e i professionisti impegnati sul campo; della mancanza di raccolta dati di quello che emerge dall’esperienza dei medici di famiglia, ma anche della difficoltà di comunicazione all’interno del mondo sanitario tra chi lavora in ospedale e chi sul territorio

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