G8: intervista a Vittorio Agnoletto a 15 anni dai fatti di Genova 2001

di ROBERTO CONSIGLIO

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Tra pochi giorni cadrà il quindicesimo anniversario dei fatti del G8 di Genova. Dal 19 al 22 luglio di quell’estate nel capoluogo ligure si svolse una delle tante riunioni dei cosiddetti “grandi della terra” su temi di importanza mondiale che interessavano un pò tutti i cittadini del globo.

Purtroppo, ciò che ricordiamo maggiormente di quelle ore sono gli scontri e la spietata repressione attuata dalle forze dell’ordine nei confronti delle migliaia di persone giunte a Genova per protestare al grido di “Un Atro Mondo E’ Possibile. I numeri, d’altronde, parlano chiaro: circa 6000 lacrimogeni, contenenti gas cs, sparati; migliaia di persone arrestate, 93 solamente dopo la retata alla scuola Diaz; un morto, Carlo Giuliani, ucciso da alcuni colpi di pistola a Piazza Alimonda, durante gli scontri nel pomeriggio del 20 luglio.

I veri colpevoli di ciò che accadde al G8 di Genova non sono mai usciti fuori, se non in una piccolissima parte, e, in questi lunghi anni, chi, tra gli appartenenti alle forze dell’ordine,  ha subìto una qualche condanna per quei fatti ha scontato pene irrisorie e, in alcuni casi, ha usato i fatti di Genova come un vero e proprio trampolino di lancio per la propria carriera tra le file delle forze dell’ordine. Pochi giorni fa ad esempio, per le false prove che furono usate per giustificare l’assalto alla Diaz, alcuni poliziotti sono stati “condannati” a pagare 47,57 euro di multa; tra questi vi era Massimo Nucera, colui che dichiarò di essere stato aggredito all’interno dell’edificio scolastico di via Cesare Battisti da un no global e si autolacerò il giubbetto della polizia che indossava per usarlo come prova. Fortunatamente, con le indagini che si svolsero successivamente, venne fuori che Nucera si era inventato tutto.

Al G8 genovese, per protestare, si recarono numerose organizzazioni anche molto diverse tra loro: dalla rete Lilliput ai Cobas passando per Rifondazione Comunista. Tutte queste associazioni si riunirono in un comitato, chiamato “Genova Social Forum” che scelse come proprio portavoce Vittorio Agnoletto, un medico milanese e fondatore di LILA ( Lega Italiana per la Lotta contro l’Aids).

Alcuni giorni fa abbiamo intervistato lo stesso Agnoletto, in vista dell’importante anniversario riguardante i fatti di Genova, per chiedergli una propria testimonianza su quanto avvenuto.

1) Quale è stato, secondo lei, il fatto politicamente più grave avvenuto durante lo svolgimento del G8 di Genova del 2001?

” E’ evidente che, se parliamo del fatto più grave, questo sia stato l’uccisione di Carlo Giuliani. Una vita umana che non potrà mai essere restituita è un valore incomparabile rispetto a qualunque altro evento.

Se invece parliamo dell’aspetto più scioccante sul piano politico questo è stato l’assalto alla scuola Diaz perchè quell’evento ha reso evidente che, da parte delle istituzioni dello Stato e dei suoi rappresentanti, non c’era assolutamente più nessun rispetto della legge, delle regole e della legalità e che i rappresentanti dello Stato stavano agendo unicamente in base alla logica “del più forte” e stavano manipolando completamente la realtà, costruendo, come si è potuto vedere successivamente, una versione del tutto falsa di quello che stava accadendo. La notte della Diaz io ho percepito perfettamente che oramai ci trovavamo in una terra di nessuno.

Quando quella sera chiamai il vice capo della polizia Ansoino Andreassi, che era stato indicato dai vertici della polizia come colui che doveva essere il nostro contatto, e gli chiesi cosa stavano facendo, lui mi rispose che era stato tutto deciso dall’alto e, quindi, non poteva farci nulla. E’ evidente che se il numero due della polizia risponde che non può far nulla, vuol dire che qualcuno a lui superiore ha preso questa decisione. In seguito e’ stato interessante verificare come Ansoino Andreassi si rifiutò di partecipare alla preparazione dell’assalto alla Diaz e quella notte non si presentò nemmeno davanti alla scuola Diaz per coordinare le iniziative delle forze dell’ordine; inoltre fu l’unico poliziotto di alto livello che collaborò coi magistrati. Per questo dovette, alquanto prima del previsto, abbandonare il ruolo di vice-capo della polizia.

Cito questo particolare per spiegare che in quel momento ci trovavamo di fronte ad un comportamento totalmente illegale da parte della polizia, non solo a causa delle violenze praticate dai poliziotti entrati nella scuola, ma anche a causa delle scelte compiute dai massimi vertici nazionali della polizia. In questo modo lo Stato si collocava su un terreno totalmente interno alle pratiche dell’illegalità. Quella notte ci è stato chiaro che non c’era alcuna possibilità di invocare ed ottenere il rispetto delle leggi e della Costituzione; i rappresentanti dello Stato di tutto questo non avrebbero tenuto minimamente conto.

Già precedentemente vi erano state diverse occasioni dove le regole, le leggi e quanto stabilito negli incontri precedenti alG8 non erano state rispettate: ad esempio, il corteo delle tute bianche aveva una regolare autorizzazione ma era stato comunque attaccato dai carabinieri, nonostante fosse su un percorso autorizzato e nonostante, fino a quel momento, da parte del corteo non si fosse verificato nessun atto di violenza“.

2) Come mai, secondo lei, ci fu una violenza così smisurata in quei giorni da parte delle forze dell’ordine?

” La decisione di praticare una repressione durissima nei confronti del movimento di Genova è stata pianificata precedentemente e a questa scelta hanno concorso diversi soggetti, nazionali e internazionali, il cui obiettivo, chiaro ed esplicito, era quello di stroncare un movimento che si stava sviluppando in modo impetuoso in tutti i continenti.

Non dobbiamo infatti dimenticare dove si colloca la vicenda del G8: ricordiamo che l’appuntamento di Genova avviene appena sei mesi dopo la prima edizione del Forum Sociale Mondiale, svoltasi a Porto Alegre. Questo era stato il primo momento in cui rappresentanti, dirigenti e leader dei movimenti di ogni angolo del mondo si erano trovati insieme non solo per contrastare questo modello di sviluppo ma, anche, per elaborare delle proposte in positivo. Lo slogan “ Un altro mondo è possibile”, d’altronde, stava a significare che era possibile costruire un’alternativa per il futuro del pianeta totalmente differente dal sistema dominante.

Lo stesso movimento si stava radicando, come avremmo visto negli anni seguenti, in tutti il mondo e conquistava un consenso enorme da parte della pubblica opinione riguardo molti dei suoi obiettivi quali: la campagna per la riduzione delle spese militari, quella per l’abolizione del debito contratto dai paesi del sud del mondo verso quelli ricchi oppure, ancora, la raccolta di firme, organizzata proprio in quei mesi, per chiedere l’istituzione della Tobin Tax, vale a dire la tassazione delle transazioni finanziarie speculative. Su tali iniziative anche in Italia noi avevamo un gra
nde consenso che andava molto oltre quello proveniente dai movimenti della sinistra. Questa crescita spaventava chi deteneva le leve del potere e perciò venne deciso, a livello internazionale, di stroncare il movimento.

Venne quindi realizzata una vera e propria escalation repressiva; infatti è bene non dimenticare che, prima di Genova, vi fu una forte repressione sia a Praga, in occasione della manifestazione del movimento a livello europeo, sia, pochi mesi dopo, a Napoli, nel marzo 2001, quando in Italia era ancora in carica un governo di centro-sinistra. Anche a Napoli non venne praticata unicamente una repressione di piazza ma diversi “tutori dell’ordine” agirono con comportamenti violenti nei confronti di alcuni manifestanti arrestati e immobilizzati. Quindi si trattò di una vera e propria strategia internazionale che ebbe il suo apice a Genova.

Inoltre, tale scelta internazionale, trovò un riferimento e una disponibilità particolare nel governo italiano guidato da Silvio Berlusconi, che aveva vinto le elezioni neanche due mesi prima. Per la prima volta dal dopoguerra in Italia i post-fascisti erano al governo col partito di Alleanza Nazionale, e aspettavano solo l’occasione propizia per sviluppare una repressione durissima nei confronti delle organizzazioni della sinistra e dei movimenti sociali; la trovarono nel G8. Il coinvolgimento politico della destra nella strategia repressiva posta in atto in quelle giornate trova molte conferme; non dimentichiamo, ad esempio, che, proprio quando scatta l’attacco dei carabinieri contro il corteo delle tute bianche, giudicato da una sentenza definitiva della magistratura come “non necessario” e “ingiustificato”, vi sono tre parlamentari di destra nella centrale operativa dei carabinieri senza che ve ne sia alcun motivo.Presenza del tutto anomala, in contrasto con quanto previsto dalle legge che non attribuisce ai singoli parlamentari alcun ruolo verso le forze dell’ordine.

Inoltre proprio in quelle stesse ore, l’allora vice-presidente del consiglio e leader di Alleanza Naionale, Gianfranco Fini, lasciò immediatamente Roma per recarsi a Genova per difendere, attraverso tutte le reti televisive, il comportamento dei carabinieri e giustificando subito, a prescindere da qualunque documentata ricostruziine dei fatti, come “legittima difesa” il comportamento del carabiniere che aveva ucciso Carlo Giuliani. Insomma, la destra di governo, in quell’occasione, svolse un ruolo esplicito e fondamentale nella regia degli eventi“.

3) Come sta vivendo quello che sta avvenendo in Francia in questo ultimo periodo riguardo le proteste contro l’approvazione del Jobs Act? Non pensa che ciò che sta accadendo ricorda ricorda, sotto alcuni punti di vista, quello che successe a Genova durante il G8? Un esempio su tutti può essere la violenza smisurata attuata dalle forze dell’ordine nel territorio francese come nel capoluogo ligure

” La situazione francese ha dei punti in comune, con quello che avvenne a Genova, ma anche dei punti di differenza. Per quanto riguarda i punti in comune possiamo dire che lo scontro che c’è attualmente in Francia vede un movimento contestare dei provvedimenti che sono sì assunti da un governo nazionale, ma che sono anche simili a quelli imposti da molti altri governi occidentali per realizzare quella politica di austerità decisa e imposta da organismi sovranazionali come, ad esempio, il Fondo Monetario Internazionale, la BCE e alcuni grandi fondi finanziari. Tali politiche sono molto simili a quelle che hanno messo in ginocchio e stanno condannando alla miseria un Paese come la Grecia. Quindi, un aspetto comune è che ciò che sta avvenendo in Francia si colloca dentro lo scontro che è in atto a livello globale tra le politiche dell’austerità e la difesa dei diritti della stragrande maggioranza dei cittadini contro la concentrazione di una ricchezza sempre maggiore nelle mani di sempre meno persone.

Vi è un’atra somiglianza con quanto avvenne nel 2001: la destra e i socialisti si ritrovano dalla stessa parte stretti nella difesa di questo modello di sviluppo e dell’attuale politica economica. Entrambi gli schieramenti, infatti, sostengono questo tipo di globalizzazione, fondata su una politica liberista in cui a farla da padrone è la logica del mercato che ha, come una delle conseguenza, le politiche dell’austerità. Tale movimento di protesta non solo non trova, all’interno del partito socialista francese, un qualche punto di riferimento ma si scontra con il potere gestito dal medesimo gruppo politico. Le differenze tra le grandi famiglie della politica europea: socialisti, popolari e liberali, per quel che riguarda il piano economico e il modello di sviluppo, sono da tempo state cancellate.

Un altro punto in comune tra allora e oggi è che il potere è concentrato sempre di più nelle mani del governo e del presidente/primo ministro a deperimento del ruolo dei Parlamenti. Inoltre l’uso della forza, che è un monopolio dello Stato nei paesi occidentali, è esercitato nel disprezzo di qualunque legge e qualunque Costituzione.

Esistono però anche delle grandi differenze tra il 2001 e quanto avviene oggi in Francia. Ad esempio, la prima grande differenza è che, come disse allora Susan George, che ricopriva in Francia il ruolo di presidente di “Attac”, quello del 2001 era un movimento che non chiedeva nulla per sé ma chiedeva tanto per l’umanità. Tale movimento, non nasceva in una fase di crisi sociale ed economica e, per la prima volta, ragionava in termini globali ed universali, facendosi carico del destino del mondo e dell’umanità nella sua interezza. Gli obiettivi del movimento altermondialista dei primi anni del nuovo millennio guardavano al mondo: l’opposizione agli accordi commerciali che strangolavano il sud del pianeta, la lotta alle cause strutturali della povertà, l’opposizione ad uno sviluppo che provocava pericolosissimi cambiamenti climatici, tali obiettivi contribuivano a realizzare una forte alleanza tra movimenti globali e nazionali. In particolare, in Italia, era la prima volta che si sviluppava un movimento che non era fondato su rivendicazioni e su vertenzialità nazionali ma che aveva un orizzonte mondiale.

Oggi, invece, quello che si sviluppa in Francia è un movimento che si può definire difensivo, di tutela di conquiste precedentemente raggiunte a livello nazionale e che oggi vengono poste in discussione. E’ un movimento che nasce dentro una crisi e che è concentrato principalmente sulla propria quotidianità. Questo non è un giudizio di merito ma una semplice oggettiva constatazione. D’altronde prima di guardare al mondo, devi garantirti la tua sopravvivenza e questa è una delle ragioni del ripiegamento su se stessi dei movimenti in Europa e della loro poca capacità di farsi carico dei grandi temi globali, a cominciare ad esempio dall’emigrazione e dall’impegno pacifista contro le guerre. Questo limite oggettivo, ma non per questo meno grave, dipende anche dal fatto che negli anni precedenti alla crisi non si è riusciti a costruire un solido movimento di stampo continentale ed europeo, e, fatto non secondario, non vi sono state vertenze sindacali significative a dimensione europea. Anzi i sindacati sono rimasti molto indietro rispetto alle esigenze della fase attuale, rinchiusi in una dimensione nazionale, spesso subalterni alle lotte tra poveri scatenate dal capitale transazionale“.

4) Con la fine del G8 di Genova è finito anche quello che era conosciuto come il movimento No Global. Come mai secondo lei? Perchè, tale movimento, non è riuscito ad andare oltre, a costruirsi una strada alternativa?

” Innanzitutto se dobbiamo, per ragioni mediatiche o esigenza storica, definire il momento nel quale si è esaurita
la spinta del movimento Altermondialista, almeno in Italia, non è il G8 ma il febbraio del 2003. Il 15 febbraio 2003 cento milioni di persone scendono in piazza, in tutto il mondo, contro l’inizio della guerra in Iraq rispondendo ad un appello lanciato dal movimento italiano, nel novembre del 2002, al Forum Sociale Europeo di Firenze. Tale appello viene accolto dal medesimo Forum, oltre che dai vari movimenti di tutto il mondo, e il 15 febbraio si svolgono manifestazioni in moltissime città di tutti i continenti. Il “New York Times” definì il movimento altermondialista e pacifista come la seconda super-potenza a livello mondiale dopo gli Stati Uniti. Nonostante tutto non riuscimmo ad evitare la guerra e, a quel punto, il movimento, in Europa, non è stato più in grado di mantenere un livello di forza significativo.

Sono diverse le ragioni che spiegano questo fatto, ragioni di dimensione sia nazionale che europea. Se parliamo dell’Italia dobbiamo considerare, per prima cosa, la repressione fortissima che ha colpito il movimento producendo alcune conseguenze significative. Innanzitutto una gran parte delle nostre energie e delle nostre attenzioni l’abbiamo dovuta concentrare sulle vicende giudiziarie, sui processi e sulle strategie difensive e siamo stati quindi costretti a concentrare gran parte del nostro dibattito sul tema della repressione e sulle risposte da mettere in campo. Così facendo abbiamo sottratto energie, tempo e risorse all’impegno verso le grandi campagne su cui avevano raccolto consenso.

La seconda conseguenza di questa repressione è stata la campagna mediatica forsennata che ha accomunato il 99% dei media italiani che descrivevano quel movimento come una organizzazione sovversiva. Questa fatto ha messo in difficoltà gran parte delle associazioni che avevano aderito al Genova Social Forum perchè vi avevano trovato una continuità con il loro operare di ogni giorno nel campo della solidarietà, dei servizi alla persona, della tutela dell’ambiente. Tali associazioni, anche molto differenti tra loro, si trovarono spiazzate quando il dibattito nel movimento si è concentrato sul contrasto alla repressione. Oltretutto non poche di queste associazioni subirono un drastico taglio nel sostegno che gli enti locali fornivano ai loro progetti che, da un giorno all’altro, sono stati messi in ginocchio. Progetti di assistenza domiciliare, di gestione di case alloggio, di tutela del territorio sono stati azzerati dalla subalternità degli Enti Locali alle direttive del potere politico; ne fu un esempio quanto accadde allora alla LILA, la Lega Italiana per la Lotta contro l’Aids, della quale ero presidente. Tutto questo ha fatto sì che l’associazionismo più classico, quello concentrato principalmente nel settore sociale e spesso con forti legami con il mondo cattolico, fece un passo indietro. Una conseguenza di tutto ciò fu la difficoltà nel tenere unito l’intero movimento e molte realtà collettive, pur continuando a credere in quell’ideale condiviso, tornarono a concentrarsi principalmente sulla propria specifica mission.

Terza questione: c’è stata la mancanza di una qualsiasi interlocuzione da parte del sistema politico. In Italia vi è stata una disponibilità al colloquio solo da parte di Rifondazione Comunista e una chiusura totale da parte di tutto il resto del sistema politico; il movimento subì quindi un forte isolamento.

Premesso tutto questo, dobbiamo capire che stiamo parlando di un movimento che aveva radici globali e quindi non possiamo giudicare solamente il suo percorso italiano.

In Europa il potere delle multinazionali su tutto il continente è veramente enorme e certamente non tralascia l’ambito culturale. Per questo, lo spazio di manovra per il movimento era limitatissimo, lo scontro diventava immediatamente frontale con grande difficoltà nello sviluppare un percorso vertenziale.

Se ampliamo lo sguardo possiamo vedere come, in altri continenti con differenti condizioni strutturali, tale movimento abbia raggiunto dei risultati importanti. Penso, ad esempio, alle vittorie dei movimenti latino-americani che hanno saputo modificare le organizzazioni della sinistra politica e ottenere grandi cambiamenti con le vittorie presidenziali di personaggi come Correa, Morales, Lula: tali successi sono in gran parte dipesi dalla forza di questi movimenti. Possiamo anche citare i movimenti africani, parte integrante del Forum Sociale Mondiale (FSM), alcuni dei quali capaci, per tanti anni, di bloccare gli accordi commerciali che l’Europa voleva imporre all’Africa; per non parlare delle rivoluzioni arabe fortemente sostenute dal FSM (che non casulamente si riunì più volte a Tunisi) e poi schiacciate dall’integralismo islamico e dal cinismo occidentale. Perciò, paradossalmente, i limiti maggiori hanno interessato noi europei principalmente per le ragioni che ho descritto“.

5) Pensa che si arriverà mai ad una verità chiara e limpida sui fatti del G8 di Genova?

” Innanzitutto non dimentichiamoci che non c’e’ stato alcun processo per l’uccisione di Carlo Giuliani, nessun pubblico dibattimento, nessuna ricerca della verità. E questa è una ferita non rimarginabile.

Per quanto riguarda i processi Diaz e Bolzaneto dobbiamo essere precisi: una verità chiara e limpida c’è già ed è quella scritta nelle sentenze del processo Diaz e del processo Bolzaneto. Tale verità coincide totalmente con quanto dichiarato dal movimento e dal sottoscritto, come portavoce del Genova Social Forum, nel 2001, nei giorni immediatamente seguenti a Genova. Vi è una coincidenza totale tra ciò che noi dichiaravamo allora e le sentenza dei processi Diaz e Bolzaneto che inoltre ricostruiscono, in modo molto preciso, le catene di comando. Vi è una verità incontrovertibile sancita da tre gradi di giudizio e arrivata fino in Cassazione. Per questo dobbiamo porci un’altra domanda: i responsabili di quanto avvenuto a Genova pagheranno mai le loro colpe? Questo, purtroppo, non avverrà. Grazie alla legge sulla prescrizione e all’assenza di una legge sulla tortura, grazie all’omertà ad ogni livello delle forze politiche e dei funzionari della polizia e dei carabinieri, le pene che dovranno espiare i responsabili sono irrisorie e nessuno trascorrerà un solo giorno nelle patrie galere; mi riferisco ai carabinieri, alla polizia e ai quei medici che sono stati corresponsabili di quanto avvenuto a Bolzaneto. Certo alcuni poliziotti di altissimo livello hanno dovuto abbandonare la polizia a causa della pena accessoria all’ interdizione ai pubblici uffici per cinque anni.

Abbiamo delle sentenze e abbiamo delle condanne,ma tutto questo è rimasto sulla carta. Non parliamo poi delle responsabilità politiche che non sono mai state né individuate né tantomeno sanzionate. Quindi, se parliamo di giustizia io temo che non ci arriveremo mai; se invece parliamo di verità, oggi questa c’è e non può più essere messa in discussione“.

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