– intervista a Terra – Parla Vittorio Agnoletto, coordinatore culturale del forum di Otranto, già portavoce della delegazione italiana al Forum sociale mondiale di Porto Alegre e del Genoa social forum durante il G8 di Genova.

«Questo è un momento storico particolare in cui le masse sono ormai diventate globali assieme alle mafie», spiega Vittorio Agnoletto, coordinatore culturale della Otranto Legality Experience (Ole), medico impegnato nella lotta contro l’Hiv, già portavoce nel 2001 della delegazione italiana al Forum sociale mondiale di Porto Alegre e del Genoa social forum durante il tragico G8 di Genova.

Quali sono i principali aspetti che avete analizzato?
A Porto Alegre, quasi dieci anni fa, già denunciavamo che la globalizzazione avrebbe aperto le porte ad ogni sorta di mafia illegale. Cosa puntualmente avvenuta. Prendiamo i Balcani, dove gli scontri sulle identità nazionali continuano mentre le mafie locali già si sono unite. Il secondo è invece la globalizzazione finanziaria e dell’economia. Perché il denaro oggi ha la possibilità di muoversi da una parte all’altra del mondo senza nessuna forma di controllo. E così anche il capitale illegale ha trovato ottime condizioni per spostarsi indisturbato e inserirsi nelle speculazioni finanziarie. Il potere politico, viceversa, ha ancora più difficoltà a muoversi.

Come ne usciamo?
Il 90 per cento delle transazioni finanziarie sono speculative. È evidente che quelle mafiose sono prevalenti. Ma se la politica ha difficoltà a controllare le transazioni servono nuovi strumenti. Al forum abbiamo chiesto ai più alti dirigenti della Ue nuove norme in grado di contrastare il capitale illegale.

Ad esempio?
Nella Ue soltanto 3 Paesi su 27 hanno approvato il meccanismo di confisca europea. E bisogna fare i conti con altrettanti sistemi giudiziari. Oggi se un magistrato italiano deve confiscare un bene in Belgio, non può farlo automaticamente. Una difficoltà oggettiva per contrastare la criminalità. Inoltre chiediamo alla Commissione europea una direttiva per consentire l’uso sociale dei beni confiscati, sul modello adottato in Italia. Anche se nel nostro Paese il 41 per cento dei beni che dovrebbero essere riutilizzati dalla società civile è ipotecato e sotto il controllo delle banche.

Riguardo ai paradisi fiscali di cui in questo periodo si parla molto?
Prima di tutto non sempre si tratta di luoghi lontani. In un dibattito si è parlato dell’isola di Jersey, un porto franco che si trova nella Manica. Infatti molte multinazionali hanno sede su quell’isola per evadere le tasse.

Le grandi coorporation quale ruolo giocano?
Il confine tra economia legale e illegale, tra crimine organizzato e multinazionale, è molto labile. Le mafie saccheggiano l’Africa in stretto rapporto con le multinazionali e nell’indifferenza degli Stati. Nelle miniere di coltan del Congo, fondamentali per produrre i cellulari, l’esercito tratta come schiavi e fa scavare migliaia di ruandesi scappati dalla guerra civile. Un materiale poi acquistato dalle multinazionali. Al forum c’è anche Pedro Paez, ex ministro delle Finanze dell’Ecuador, che ha il ruolo di ridisegnare le organizzazioni economiche sudamericane per sottrarle alla Banca centrale. L’economia deve dare delle risposte al contrasto alle mafie.

(intervista di Alessandro De Pascale)

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