Il cristianesimo come progetto di civiltà

Frei Betto 19/05/2016

Il Brasile è un Paese di matrice cristiana. Chiedete a chiunque quale sia la sua visione del mondo e, certamente, avrete una risposta intessuta di categorie religiose.

Il cristianesimo, nella sua versione cattolica, è arrivato nel nostro Paese in compagnia del progetto colonizzatore portoghese. Entrare a far parte della civiltà, così come veniva concepita nella Penisola Iberica, significava diventare cristiani.

Era questa l’ossessione missionaria di Anchieta: annullare le convinzioni religiose dei popoli originari della terra brasiliana, considerate idolatriche, per introdurre il cristianesimo secondo la teologia europea occidentale, in un  atto di aggressione alla cultura indigena.

I colonizzatori portarono in Brasile gli africani come schiavi, i quali dovevano piegarsi al battesimo per entrare nell’inferno qui in Terra, con la promessa che, se fossero stati docili alla volontà e ai perversi capricci dei bianchi, avrebbero meritato il Paradiso celeste come ricompensa.

Si predicava il Gesù crocifisso alla senzala (la dimora degli schiavi contrapposta alla casa-grande del padrone, ndt), affinché si rassegnasse ad atroci sofferenze, e il Sacro Cuore di Gesù alla casa-grande, perché mettesse i propri beni a disposizione delle opere della Chiesa.

 

IL FLAUTO E L’OSTIA CONSACRATA

All’inizio del XX secolo, un prete destinato a catechizzare un villaggio della regione dello Xingu rimase indignato nel constatare che il rituale religioso era centrato su un flauto suonato dallo sciamano, la cui musica stabiliva la connessione con il Trascendente.

A donne e bambini, chiusi nelle capanne, era proibito assistere alla cerimonia.

Scortato da soldati, il missionario portò il flauto al centro del villaggio, fece venire donne e bambini e, dinanzi a tutti, spezzò lo strumento musicale, denunciandone la natura idolatrica, e predicò la presenza di Gesù nell’ostia consacrata.

Ebbene, cosa impedisce a un gruppo di indigeni di entrare nella chiesa della Candelária, aprire il tabernacolo, strappare le ostie consacrate e gettarle nella spazzatura?

Appena la mancanza di una scorta sufficientemente armata.

 

FEDE E POLITICA

Noi occidentali abbiamo desacralizzato il mondo o, come dice Max Weber, lo abbiamo disincantato. Fino al punto di decretare “la morte di Dio”. Se abbracciamo paradigmi così profondamente cartesiani, fortunatamente in crisi, ciò non costituisce un motivo per “spezzare il flauto” dei popoli che prendono sul serio le loro radici religiose.

Oggi, sbaglia l’Oriente per il fatto di ignorare la conquista moderna della laicità della politica e della reciproca autonomia tra religione e Stato.

E sbaglia l’Occidente per il fatto di “sacralizzare” l’economia capitalista, divinizzare la “mano invisibile” del mercato e disprezzare le tradizioni religiose, pretendendo di confinarle nei templi e nella vita privata.

Gli orientali commettono un errore a confessionalizzare la politica, come se le persone si dividessero tra credenti e non credenti (oppure tra adepti alla mia fede e tutti gli altri).

La linea divisoria della popolazione mondiale sta nell’ingiustizia che segrega 4 su 7 miliardi di abitanti.

A loro volta, gli occidentali commettono un grave errore nel pretendere di imporre a tutti i popoli, con la forza e con il denaro, il proprio paradigma di civiltà fondato sull’accumulazione della ricchezza, sul consumismo e sulla proprietà privata al di sopra dei diritti umani.

 

UN CRISTIANESIMO A IMMAGINE E SOMIGLIANZA DEL CAPITALISMO

Molti dei presenti in questa sala dell’Accademia Brasiliana delle Lettere sono figli e figlie del XX secolo e sono nati in famiglie cattoliche. Siamo stati battezzati e cresimati, abbiamo fatto la prima comunione, abbiamo imparato a pregare e abbiamo appreso la devozione ai santi e alle sante.

Questo cristianesimo si sposava perfettamente con la morale borghese che separava il personale dal sociale, il privato dal pubblico.

Era peccato masturbarsi, ma non pagare un salario ingiusto a una lavoratrice domestica confinata in una stanzetta irrespirabile, sprovvista di tutele e obbligata a svolgere molteplici compiti. Era peccato saltare la messa la domenica, ma non impedire a un bambino nero di frequentare il collegio religioso dei bianchi. Era peccato fare cattivi pensieri, ma non pagare, in una notte, per una bottiglia di vino, quanto il cameriere che portava i bicchieri guadagnava in tre mesi di lavoro.

Come evidenziato da Max Weber, il cristianesimo ha dotato di spirito il capitalismo.

Bisogna aver fede nella mano invisibile del mercato, così come si crede in un Dio che non si vede. Bisogna essere convinti che tutto dipende dai meriti personali e che la povertà deriva da peccati capitali come la pigrizia e la lussuria. Bisogna tener presente che molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti a godere, già sulla Terra, le gioie che il Signore promette nelle dimore celesti…

Non fu il cristianesimo a convertire l’Impero Romano, all’epoca di Costantino.

Furono i romani a convertire la Chiesa in potenza imperiale.

Allo stesso modo, non fu il cristianesimo a evangelizzare l’Occidente, ma fu il capitalismo occidentale a impregnarlo del suo spirito usuraio, individualista, competitivo.

E cosa ci presenta la storia come risultato?

Tutte le nazioni schiavocratiche della modernità erano cristiane. Erano cristiane le nazioni che promossero il genocidio indigeno in America Latina.

È cristiano il Paese che ha commesso il più grave attentato terroristico di tutta la storia, calcinando migliaia di persone con le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki.

Erano cristiani i governi che hanno scatenato le due grandi guerre del XX secolo.

Ostentavano la qualifica di cristiane le dittature che, il secolo scorso, hanno proliferato in America Latina, patrocinate dalla CIA.

Sono cristiani i Paesi che più devastano l’ambiente.

Così come sono cristiani quelli che più producono pornografia e alimentano il narcotraffico.

Sono cristiane molte nazioni, tra cui il Brasile, in cui la disuguaglianza sociale è clamorosa.

Di che diavolo di cristianesimo stiamo parlando?

Certamente non di quello chiamato a riflettere la prassi e i valori testimoniati da Cristo.

 

GESÙ È VENUTO A FONDARE UNA RELIGIONE?

Siamo stati educati nell’idea che Gesù venne a fondare una religione o una Chiesa.

Ma ciò non coincide con quanto dicono i vangeli di Matteo, Marco, Luca e Giovanni, le principali fonti sulla persona di Gesù. 

In tutti e quattro i vangeli la parola Chiesa appare solo due volte, e solo in Matteo.

E i vangeli stanno a indicare come Gesù fosse un severo critico della religione dominante nella Palestina del suo tempo, basti leggere il capitolo 23 di Matteo.

Già l’espressione “Regno di Dio” (o “Regno dei cieli”, in Matteo) appare più di cento volte in bocca a Gesù. Il teologo Alfred Loisy diceva che Gesù aveva predicato il Regno, ma che ciò che si era avuto era stata la Chiesa…

Gesù visse, morì e resuscitò sotto il regno di Cesare, un titolo concesso ai primi 11 imperatori romani. A partire dall’anno 63 prima della nostra era, la Palestina si trovava sotto il dominio dell’Impero Romano.

Era una provincia fortemente controllata da Roma, politicamente, economicamente e militarmente. Tutta l’azione di Gesù si svolse sotto il regno dell’imperatore Tiberio Claudio Nerone Cesare, al potere dall’anno 14 all’anno 37. La Palestina nella quale visse Gesù era governata da autorità nominate da Tiberio, come il governatore Ponzio Pilato (il quale, curiosamente, è stato immortalato nel Credo cristiano) e la famiglia del re Erode. La società era diretta da un potere centrale che si manteneva con le imposte riscosse dal popolo, dalle comunità rurali e dalle città. 

Pertanto, parlare di un altro regno, quello di Dio, all’interno del regno di Cesare aveva l’effetto che avrebbe oggi parlare di democrazia in tempi di dittatura.

E questo spiega la ragione per cui tutti noi cristiani siamo discepoli di un prigioniero politico.

Gesù non è morto di epatite nel suo letto, né in un disastro di cammelli lungo una strada di Gerusalemme. Come tanti perseguitati dai governi autoritari, arrestati, torturati e uccisi, egli pure è stato arrestato, torturato, giudicato da due poteri politici e condannato a morte sulla croce.

La domanda da porre è questa: che tipo di fede hanno, oggi, i cristiani, se neppure reagiscono a questo disordine stabilito in cui, secondo l’Oxfam, 62 famiglie possiedono una fortuna pari al reddito di 3,6 miliardi di persone, metà dell’umanità?

Al contrario di ciò che molti pensano, per Gesù il Regno di Dio non era solo qualcosa là in alto, nel Cielo. Era, soprattutto, qualcosa da conquistare in questa vita e su questa Terra.

«Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10, 10).

Ed egli fu l’uomo nuovo per eccellenza, il prototipo di ciò che dovranno essere tutti gli uomini e tutte le donne del “Regno” futuro, la civiltà dell’amore, della giustizia e della solidarietà.

Le basi di questo progetto di civiltà e dei suoi valori si trovano rispecchiate nella prassi e nelle parole di Gesù. Se operiamo come lui, questo nuovo mondo dovrà diventare realtà.

È questa l’essenza della promessa di Gesù.

 

LA CENTRALITÀ DELL’UMANO

Si può non avere una fede cristiana e persino provare avversione per la Chiesa.

Ma a imboccare il sentiero di Gesù è qualunque persona affamata di giustizia, libera da qualsivoglia pregiudizio nei confronti degli esseri umani, capace di condividere i propri beni con chi ne ha bisogno, di preservare l’ambiente, di avere compassione e saper perdonare, di essere solidale con le cause che difendono i diritti dei poveri. 

Gesù non è venuto ad aprirci la porta del cielo. È venuto a riscattare l’opera originaria di Dio, che ci ha creati perché vivessimo in un paradiso, come indica il libro della Genesi.

Se il paradiso non si è realizzato, è perché abbiamo abusato della nostra libertà anelando a trasformare in proprietà privata ciò che, di diritto, è di tutti. 

Gesù non è venuto come un extraterrestre per portarci un catalogo di verità estranee al nostro mondo. È venuto a ri-velare, disvelare, togliere il velo, cioè a farci vedere ciò che è già parte del nostro procedere, del nostro quotidiano, ma del cui valore trascendente non avevamo idea.

È venuto ad avvisarci: il mondo che Dio vuole ha questo profilo, queste caratteristiche!

Un m
ondo in cui non ci siano esclusi, affamati, vittime di ingiustizia.

Un mondo in cui la solidarietà regni sulla competitività e la riconciliazione sulla vendetta.

 

Questo progetto di Dio, annunciato da Gesù, ha il suo centro non in Dio, ma nell’essere umano, fatto a immagine e somiglianza di Dio.

Solo nella relazione con il prossimo si può amare, servire e onorare Dio.

I missionari che colonizzarono l’America Latina bruciarono indigeni, come il capo indio Hatuey, a Cuba, colpevoli di rendere culto a un Dio diverso da quello dei cristiani. Ebbene, Gesù non predicò ai farisei e ai sadducei un altro Dio, differente da quello a cui rendevano culto gli ebrei nel Tempio di Gerusalemme.

Predicò che, per l’essere umano, l’essere supremo è lo stesso essere umano.

In Matteo 25, 31-46, Gesù si identifica con l’affamato, l’assetato, lo straniero, l’ignudo, l’infermo, il prigioniero. E chiarisce che è al servizio di Dio chi libera il prossimo da un mondo che produce tali forme di oppressione e di esclusione.

Pertanto, ciò che Gesù è venuto a portare tra noi non è stata una Chiesa o una nuova religione. È stato un nuovo progetto di civiltà, basato sull’amore per il prossimo e per la natura e sulla condivisione dei beni della Terra e dei frutti del lavoro umano.

Una nuova civiltà in cui tutti siano inclusi: storpi, ciechi, lebbrosi, mendicanti e prostitute. E in cui la vita, il più grande dono di Dio, sia da tutti goduta in pienezza.

Come raggiungere tale progetto di civiltà? Gesù ha posto nitidamente l’accento sul fatto che a tale scopo è necessario rinunciare, come valori o obiettivi di vita, all’avere, al piacere e al potere, simbolizzati nell’episodio delle tentazioni nel deserto (Lc 4,1-13).

E, al contrario di ciò che si presuppone, chi lo fa incontra ciò che ogni essere umano desidera di più, la felicità, o, nei termini del Vangelo, la beatitudine, esplicitata da Gesù in otto vie che imprimono un senso altruista alle nostre vite (Mt 5,3-12).

Bisogna essere solidali con gli esclusi, come il buon samaritano; compassionevoli, come il padre del figliol prodigo; spogliati di tutto, come la vedova che dona al Tempio il denaro che le era necessario.

Bisogna assicurare a tutti condizioni degne di vita, come nella condivisione dei pani e dei pesci.

Bisogna denunciare coloro che mettono la legge al di sopra dei diritti umani e fanno della casa di Dio una spelonca di ladri.

Bisogna trasformare la nostra carne e il nostro sangue in pane e vino affinché tutti, come fratelli e sorelle, intorno alla stessa mensa, condividano il miracolo della vita uniti da un solo Spirito.

Ebbene, se siamo d’accordo sul fondamento di tutta la predicazione di Gesù – il fatto che l’essere supremo è lo stesso essere umano – allora non resta che chiederci perché tanti esseri umani, in questo mondo globocolonizzato in cui viviamo, siano condannati da strutture ingiuste alla miseria, all’esclusione, alla migrazione forzata, alla morte precoce e, insomma, a una vita di sofferenza e di oppressione.

E che abbiano o meno fede in Dio, tutti coloro che si impegnano a combattere le cause dell’ingiustizia compiono la volontà di Dio secondo la parola di Gesù.

E credono che questo “regno di Cesare” debba essere abolito per far spazio a un altro regno, le cui strutture assicureranno a tutti una vita in pienezza.

E in questo si riassume il progetto di Dio per la storia umana e l’utopia annunciata da Gesù.

 

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