Dodici anni dai fatti di Genova, più che una commemorazione ti chiedo quali sviluppi vedi nelle vicende di oggi…
Sulla repressione di Genova credo che abbiano pesato tre fattori, diversi tra di loro, che poi sono confluiti: una decisione assunta a livello internazionale di reprimere questo movimento.
Una decisione che derivava dalla crescita impetuosa che questo movimento aveva all’epoca in tutto il mondo e la sua capacità di costruire forum sociali in tutti i continenti.Si parlò di un salto di qualità proprio per questo…
Un movimento fortemente consapevole, con ragazzi che prendevano appunti durante le conferenze e le assemblee, come scrissero i giornalisti. La repressione è contro il primo movimento globale della storia dell’umanità che addirittura travalica i confini del mondo occidentale. Da qui la decisione della repressione. E infatti è una escalation. Prima di Genova abbiamo Praga, Napoli e Goteborg.

In Italia chi interpreta al meglio questo ruolo?
Il quadro è complesso. Intanto, seconda questione, questa decisione internazionale si salda in Italia con la prima volta dei post-fascisti al governo. E’ l’era di Fini con l’idea di dire “adesso regoliamo tutti i conti e modifichiamo lo stato delle cose” partendo dalla repressione dei movimenti sociali e poi con il mondo del lavoro. E questo riguarda gli ex An e Fini. Terza questione, questi due fattori si intrecciano con la situazione specifica delle forze cosiddette dell’ordine. In Italia abbiamo una saldatura tra la destra fascista o post-fascista al governo ei suoi interlocutori naturali, storicamente alleati, e cioè i carabinieri. Non dimentichiamo gli anni 60 e i tentati golpe. I carabinieri si impegnano a suscitare la scintilla a Genova. E infatti sono loro a dare l’avvio agli scontri che poi porteranno alla morte di Carlo. Questo è avvenuto, come documentato, senza l’assenso della polizia e della questura. Lo fanno proprio nel momento in cui alcuni parlamentari di An sono nella sala operativa.

Sì ma il centrosinistra in tutto questo?
Abbiamo un vertice della polizia che è cresciuto all’ombra del centrosinistra e questi vertici della polizia devono fare i conti con le conseguenze della repressione avviata dai carabinieri e con il fatto che circa due mesi prima aveva vinto un governo di centrodestra. E questo gruppo della polizia utilizza la vicenda genovese per riproporsi come il gruppo forte e accreditarsi con il governo in carica. In particolare, con Forza Italia, ed equilibrare così il gruppo Alleanza nazionale-carabinieri. La Diaz è lo scambio attraverso il quale i vertici della polizia stringono un patto con il centrodestra e quindi non vengono sostituiti. Dopo Berlusconi c’è uno spoil system selvaggio, a tutti i livelli. E invece i vertici della polizia rimangono al loro posto.

Da lì la figura di De Gennaro?
Da questi quadro di repressione emerge e si evidenzia la presenza di un gruppo di potere dentro la polizia fortissimo perché compatto, con una leadership storica, e una organizzazione verticale il cui leader è appunto De Gennaro. Un gruppo che lavora assieme dal ‘92 e che proviene dall’antimafia e che ritiene di poter spendere questi successi sulla scena pubblica e per questo si sente protetto. Un gruppo che ha sempre mantenuto una contiguità con il centrosinistra. Due nomi per tutti, Amato e Violante. Quando i magistrati arrivano a mettere sotto accusa l’operato di questo gruppo e quindi inquisiscono i vertici, da De Gennaro a Caldarozzi, a quel punto scatta una copertura a 360 gradi. Centrodestra e centrosinistra evitano la Commissione di inchiesta e cercano di tutelare i vertici della polizia. Un nodo che continuerà per tutti gli anni dell’inchiesta e e che finirà per isolare i magistrati. La politica manderà sempre segnali di sfiducia e disprezzo attraverso un susseguirsi di nomine e avanzamenti delle persone da tutelare esattamente quando i magistrati sanzionano con sentenze i loro comportamenti.

E quindi la politica prepara il successo di questo gruppo…
Da un lato isolamento dei magistrati e dall’altra la forza di questo gruppo di potere. Piano piano si crea l’assoluta subalternità del mondo politico a questo gruppo di potere. Se nel 2001 controllavano la polizia poi si arriva ai servizi segreti e al servizio centrale del ministero dell’Interno, fino a sbarazzarsi di alcune cordate interne ai carabinieri. E il medesimo gruppo mostra tutta la sua forza proprio nel momento di massima debolezza, la sentenza di appello chce condannava De Gennaro viene cancellata dalla Cassazione senza nemmeno l’indicazione di rifare il processo: resta così in atto la sentenza di primo grado nella quale l’allora capo della polizia era stato assolto.

Da lì siamo alla storia di oggi, ovvero all’arrivo a Finmeccanica…
De Gennaro ottiene di arrivare ad essere il presidente di Finmeccanica. Si chiude il cerchio sia da un punto di vista reale sia simbolico. Da un punto di vista reale, la collocazione di quello che è oggi la personal più forte dentro il sistema di potere italiano. Da sottosegretario sempre sui servizi segreti, arriva a Finmeccanica, un suo vecchio obiettivo, e dimostra che è lui a tenere in mano la politica. E’ lui il detentore dei segreti degli ultimi venti anni in Italia . Arriva in piena crisi di Finmeccanica, in cui l’azienda deve decidere se portare avanti il settore militare, in gran parte con gli Usa. E De Gennaro è la persona che più di chiunque altro ha il rapporto più forte con gli Usa.

Rispuntano fuori gli F35…
E’ l’unico poliziotto al mondo che viene premiato dalla polizia statunitense come miglior poliziotto dell’anno. E quindi la sua ascesa a Finmeccanica va a stabilizzare i rapporti commerciali e militari E dentro questo c’è la partita degli aerei F35. Da un punto di vista simbolico la nomina di De Gennaro a Finmeccanica è molto forte, e vuol dire la direzione dell’apparato bellico italiano. E giunge dopo che per dieci anni si è discusso sul salto repressivo fatto a Genova. Ovvero la gestione dell’ordine pubblico simile a una fase di guerra piuttosto che ad un periodo di pace. Non è un caso per esempio che durante gli interrogatori si usano termini militari. E, nello stesso tempo, ci ritroviamo una polizia che negli anni di De Gennaro ha esercitato il reclutamento quasi unicamente attraverso persone che avevano svolto tre anni di servizio militare in scenari di guerra.

Questa forza dell’apparato repressivo-militare quanto ha a che fare, e come, con la globalizzazione e il liberismo?
La situazione italiana ha degli aspetti di forte anomalia. In nessun altro paese c’è un potere così forte da parte di un pezzo di istituzioni che dovrebbe invece dipendere dalla politica. In nessun altro paese un gruppo di potere che deriva dalla polizia ha accumulato così tanta forza da poter sovrastare la politica. Questa anomalia mette in evidenza una caratteristica comune. Cioè, come abbiamo sempre detto la globalizzazione pone al parola fine a una fase della storia umana, ovvero alla fase iniziata con la Rivoluzione francese ovvero la sovranità dello Stato nazionale. Che cosa accade con la globalizzazione? Che il potere legislativo viene svuotato a favore dell’esecutivo, con una repubblica presidenziale ben oltre il dettato costituzionale. Il potere esecutivo cerca di toglierli autonomia e il potere mediatico diventa un appendice del potere esecutivo. Il potere esecutivo che è dominante fa saltare la logica dello Stato borghese, che a differenza del passato punta sempre meno alla propria legittimazione attraverso il consenso bensì fidando in un ruolo preponderante delle forze della repressione. Questo aumenta a dismisura il potere di quelle forze. E quindi poi in un modo o nell’altro le forze della repressione diventano elementi preponderanti degli scenari politici. In Italia, ma anche in Turchia e in Egitto e nella vicenda del Datagate. Ormai quell’apparato lì è l’elemento fondante. Questa è una caratteristica sempre più accentuata della globalizzazione liberista e dello svuotamento della democrazia.

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